a cura della classe 1 AC del Liceo Classico MANIN
La dottrina islamica, destinata a sconvolgere l'intero panorama religioso e culturale mediorientale e a coinvolgere e influenzare parzialmente il mondo occidentale, nacque nel secolo VII in un'area geografica posta ai margini dei due più grandi imperi del tempo: quello bizantino e quello persiano. Nel fertile Yemen si era sviluppata da lungo tempo una civiltà fiorente e culturalmente attiva, che manteneva con le aree siriane e palestinesi rapporti commerciali molto stretti. Le città più importanti, dove i beduini sostavano più spesso e nelle quali i mercanti si incontravano e vendevano le loro merci, erano La Mecca e Medina. Questi centri, dimora di tante tribù rivali gelose delle proprie usanze e tradizioni, erano abitati anche da comunità ebraiche e cristiane, che professavano, a differenza delle popolazioni locali, un credo monoteista. La perenne ostilità tra le tribù chiuse e politeiste non poteva essere sanata che da una dottrina che presentasse al suo interno verità universali e anche per questo motivo la "gente del libro" -come venivano chiamati sia gli ebrei che i cristiani, accomunati da buona parte delle dottrine bibliche- era trattata con rispetto e godeva di un certo prestigio. Il bisogno di un'unità perlomeno religiosa tra le politeiste comunità di quei luoghi era molto sentito, e a soddisfarlo fu un mercante di nome Muhammad, chiamato dagli occidentali Maometto. Egli sentì la voce dell'Arcangelo Gabriele, inviato da Dio; gli fu assegnato il compito di recitare e diffondere il messaggio divino, che consisteva primamente nello "abbandono a Dio": nasceva l'Islam. Il verbo maomettano non venne inizialmente ascoltato, sia per la generale diffidenza sia perchè esso contrastava gli interessi del potere politeista; per dodici anni la nuova religione rimase un fenomeno isolato. Nel 622 Maometto fu costretto a fuggire a Medina per evitare le persecuzioni. L'evento è ricordato nel mondo musulmano con il nome di Egira, che vuol dire emigrazione. A Medina il profeta riuscì a diffondere efficacemente il suo credo; fu qui infatti che nacque e si sviluppò la prima solida comunità islamica. Nel 630 Maometto rientrò alla Mecca senza incontrare opposizioni. Il suo ritorno in quella città pose le basi dell'unificazione religiosa della penisola araba, che si concluse dopo la sua morte -avvenuta nel 632- grazie all'opera dei suoi successori, denominati Califfi. Utman, il secondo Califfo, riunì le varie testimonianze scritte delle rivelazioni avute da Maometto per farne un libro, il Corano. In lingua araba la parola Qu'ran significa "recitazione". L'espansione araba dal 638 al 732 fu rapidissima e inarrestabile; di conseguenza l'Islam attecchì in tutti i territori occupati. La dottrina maomettana si diffuse in Persia, Palestina, Siria, Egitto, Africa del Nord e penisola iberica. La religione islamica trovò terreno fertile in queste zone per la sua stessa natura originaria, contraria ai dogmi e alle imposizioni. L'unica verità alla quale prestare assoluta fede era l'esistenza di un Dio, Allah, creatore del cielo e della terra e misericordioso verso tutti i suoi figli, senza distinzione di razza e cultura. Nella visione islamica ogni uomo nasce musulmano, sottomesso a Dio, poichè ogni uomo ha contratto con Allah un patto che gli offre la resurrezione in cambio della fede. La cultura e l'educazione fanno poi del musulmano un pagano, un cristiano o un ebreo. Allah per diffondere l'ortodossia ha inviato nella storia vari profeti, come Mosè, Gesù e, da ultimo, Maometto. Come appare evidente, questa è una dottrina molto semplificata, facile da comprendere e da accogliere. L'Islam non ha inoltre clero nè chiesa. Gli imam non sono infatti che guide spirituali. Il credente è tenuto a seguire alcune regole come la preghiera cinque volte al giorno e l'osservanza del digiuno nel mese del Ramadan. I popoli sottomessi dall'espansione araba nei secoli VII e VIII non si convertirono con la forza a questo credo: generalmente potevano mantenere la loro religione, pagando tuttavia una speciale tassa. Tale singolare tolleranza permise agli arabi di mantenere la quiete nei loro territori e all'Islam di costruire sulle fondamenta della fede maomettana una civiltà senza eguali nel mondo dell'epoca. Grandiosi centri culturali e commerciali come Damasco, Bagdad e Cordova facevano infatti impallidire le città occidentali. L'evoluzione dell'Islam in questo periodo ebbe un grande sviluppo; presto si diversificarono due grandi scuole di pensiero. Nacquero i rami dei sunniti, musulmani che fondano la fede unicamente sul Corano, e degli sciiti, che affiancano allo studio dei testi sacri l'analisi delle esperienze degli imam, le guide spirituali. Molti caratteri delle prime due religioni monoteiste vennero inoltre integrati e ricontestualizzati in ottica islamica. Anche la cultura ellenistica diede il suo appoggio alla fortificazione del credo mussulmano, dopo che la Persia e la Mesopotamia furono travolte dall'avanzata araba. Numerose traduzioni dal greco all'arabo permisero agli intellettuali islamici la lettura dei testi filosofici e scientifici di Platone, Aristotele, Galeno e Tolomeo. L'universo mediorientale rimaneva, nonostante la fulminea unificazione, un caleidoscopio di culture e modi di vivere diversi tra loro e presto sorsero, in seno all'Islam e alle sue stesse ramificazioni, vari movimenti. Quello dei mutaziliti, ad esempio, nacque nell'VIII secolo: i suoi aderenti credevano che Dio fosse onnipotente ed acuivano il valore fondamentale del semplice arbitrio di Allah. La giustizia che l'uomo doveva seguire ed integrare con quella terrena, dunque, era quella divina. Secondo i mutaziliti Dio vuole il bene poichè esso stesso è il bene, ciò che è vero per Dio lo è anche per l'uomo. Essi insomma intendevano equilibrare l'assolutezza divina con l'esigenza umana della ragione. Gli ashariti sostenevano invece che ragione e fede fossero realtà distinte ed autonome. I rapporti tra Allah e l'uomo vennero ulteriormente studiati dai falasifa, filosofi islamici vissuti tra il IX e il XII secolo. Secondo al-Kindi e al-Farabi l'uomo è caratterizzato dall'intelletto passivo, ovvero "in potenza", che può passare da questo stato a quello attivo solo grazie all'intervento dell'intelletto già in atto, immutabile e immortale: quindi Dio stesso o una figura analoga. La divinità rimane, secondo quest'interpretazione, inaccessibile all'intelletto dell'uomo. Al-Farabi, ricollegandosi all'aristotelismo, sostenne inoltre la diversità dell'essenza (la nozione di ciò che una cosa è) e dell'esistenza (il fatto che la cosa sia): la seconda, a differenza della prima, è solo un accidente percepibile con i sensi. L'unico essere che concili essenza ed esistenza è Dio. Averroè, filosofo nato a Cordova nel 1126, tentò di liberare la dottrina dai teologi e dai loro sterili dogmatismi e di rimettere ordine nella società islamica. Il suo pensiero suddivide la comunità in tre categorie: gli "uomini della dimostrazione", ovvero i filosofi, gli "uomini della dialettica" e quelli della "esortazione" ovvero i predicatori. Il Corano può essere compreso da tutti, ma solo i filosofi possono approfondirne le tematiche e afferrarne i significati più reconditi. La ragione, comunque, non può spiegare la fede poichè la rivelazione di Allah trascende i confini della ragione umana. Secondo Averroè Dio, pensiero del pensiero, è semplice e la causa finale di tutto ciò che esiste. Questo importante filosofo morì nel 1198: dopo la sua morte la ricca e fiorente civiltà islamica conobbe un declino che le tolse nel giro di pochi secoli il primato culturale in favore dell'Europa cristiana. La geografia del sapere mussulmano cambiò e gli antichi centri principali vicini al Mediterraneo persero importanza; l'Islam si chiuse in se stesso, i legami già deboli con la cristianità occidentale si allentarono sempre più; dal califfato si passò agli Stati. Il teologo Ibn Taymiyya riformulò il ruolo dello Stato sostenendo che su di esso grava l'obbligo di realizzare gli obiettivi religiosi e dando così i natali alla moderna teocrazia vigente in molti Paesi islamici. Nel XIV secolo la Spagna fu riconquistata dai cristiani e l'impero, passato sotto il controllo dell'etnia turca, fu aggredito dalla nuova potenza mongola. In questo periodo Ibl Khaldun, nato a Tunisi nel 1337, lavorò ad una monumentale Storia Universale e Suhrawardi (1155-1191) scrisse Teosofia orientale, opera nella quale raccolse e riorganizzò l'antico sapere persiano in ottica islamica. Ma la decadenza del mondo orientale mussulmano, coeva al prepotente affermarsi del predominio occidentale, e da esso forse aggravata, era ormai irreversibile. La sua rinascita dovrà attendere cinque secoli prima di verificarsi.
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