a cura della classe 1C del Liceo Classico MANIN
Arrivato alle 8 nella nostra classe ci ha subito salutati con calore lasciandoci piacevolmente sorpresi dal suo carisma e dal suo modo di fare.
Dal momento che avevamo precedentemente deciso di dividere l’incontro in una parte prettamente narrativa sulla sua vita, per capire meglio come e perché sia arrivato ad essere un missionario, e in una parte in cui avrebbe risposto alle nostre domande, per chiarire i nostri dubbi, la nostra “intervista” a Padre Marcello è cominciata subito con la sua presentazione.
“I miei parenti sono di origini trevigiane ma io sono nato a Roma, a circa sette anni mi sono trasferito nella zona di Tivoli. Discendo da una famiglia di origini contadine e spesso da giovane con i miei fratelli ho aiutato la mia famiglia anche nel lavoro soprattutto durante la seconda guerra mondiale quando avere una produzione propria era fondamentale. Entrato in seminario ho studiato nelle regioni della Sabina e della Ciociaria, con altri quattro amici ho deciso che la mia strada sarebbe stata quella della missione; quindi con il benestare dell’istituto mi sono dedicato ad un anno di meditazione, poi ho preso i voti, tra cui quello di fare vita missionaria. Ho vissuto per 21 anni in Bangladesh tornando in Italia solo per brevi periodi nei momenti prestabiliti dall’ordine e per espletare le formalità (visti, controlli medici ecc.). Nel 1994 però sono stato richiamato a lavorare in Italia e questo ha sconvolto il mio modo di vivere. Perciò tornato a casa, sembra strano a dirsi, ho dovuto riabituarmi alla mia cultura. La cosa a cui mi sono riabituato con più fatica è la completa mancanza della calma che invece la regnava. Mi sono accorto che in Italia oramai ci si isola nel contesto umano e non si capisce più il piacere del rapporto con l’altro fine a se stesso… La situazione là è completamente diversa: la popolazione è giovanissima ed in continua crescita, sono passati da 70 milioni a 150 milioni in quarant’anni, la mortalità infantile e la denutrizione decimano le nascite e indeboliscono la popolazione, anche se la situazione migliora leggermente nella stagione delle piogge, l’avere molti figli è parte della cultura…
Insomma è tutta un’altra cosa. I cristiani sono solo lo 0,3%, una minoranza spesso oggetto di persecuzione, la popolazione cristiana trova molte difficoltà soprattutto a causa del sistema delle caste che mette in crisi tutte le religioni tranne l’induismo ed è una delle piaghe sociali più gravi poiché esclude dalla “vita” un’enorme fetta di popolazione e la ghettizza discriminandola ancor peggio di una persecuzione a viso aperto. Però anche se come cultura è molto vicino all’India induista il Bangladesh è di religione mussulmana sciita. In sé come religione è tollerante, almeno in questo paese, e il Bangladesh riconosce, rispetta e spesso incentiva anche le altre religioni; Infatti a scuola l’ora di religione è diversificata e io stesso, su domanda del governo del Bangladesh, ho scritto dei libri di testo. Però le divergenze ci sono e spesso sono anche molto violente, quasi persecutorie. Spesso purtroppo sono mosse non solo da motivazioni religiose, in alcuni casi la religione diventa un pretesto. Il nostro sforzo missionario si basa prevalentemente sul dialogo per trasmettere e farsi trasmettere dei valori. Infatti l’occidente cristiano ha determinati valori spesso dati per scontati a cui è impossibile rinunciare, come i diritti umani, la democrazia, il concetto di “persona” ecc, dati anche da secoli di cristianesimo fusosi con la cultura. Il dialogo è mirato al raggiungimento di accordi sui valori, sulle persone. Le missioni inoltre lavorano per aiutare la popolazione anche sul piano pratico, nelle situazioni difficili. Però non sempre il dialogo riesce ad istaurarsi come nel caso di Asia Bibi, non mussulmana, accusata di bestemmia e perciò condannata a morte secondo la legge islamica. In opposizione a ciò si erano mossi Batti e un parlamentare mussulmano che volevano cambiare questa legge; furono uccidi dai fondamentalisti. Questo è ciò che bisogna evitare…”
Anche se aveva ancora molte cose da raccontarci sulla sua vita e sulle sue esperienze a causa della scarsità del tempo a nostra disposizione abbiamo dovuto passare alle domande per cercare di lasciare il minori numero possibile di dubbi irrisolti.
“Lei oggi è sulla rete perché gestisce un giornale, come ci è arrivato? Cosa fa Lei oggi?”
“Gestisco il periodico “missionari saveriani” che oggi è anche messo online. È un giornale che informa sulle nostre attività, sulle nostre missioni, che tratta temi di attualità e da spunti di riflessione; Inoltre ci sono una sezione di notizie dal mondo, una dedicata alle lettere e alle informazioni e l’ultima dedicata all’area locale, diversificata per ogni città.” (Il giornale ci è stato gentilmente lasciato ndr)
“Lei ha potuto scegliere di andare in Bangladesh o è vi è stato mandato?”
“La nazione l’ho scelta io. In realtà io avrei voluto andare in India ma lì non concedono visti per i missionari perciò ho optato per il paese più vicino. Dopo il percorso di formazione i missionari sono chiamati ad esprimere le loro preferenze con una lettera, io avevo indicato come tali in primis in Bangladesh e poi l’Indonesia. Dal momento che sono stato designato al Bangladesh ho imparato il bengalese lingua bellissima in cui ho anche scritto alcuni libri.”
“Come si svolgeva la sua giornata in missione?”
“Specialmente nella missione rurale situata al confine con l’India in una zona molto tesa, proprio dove e stata dichiarata l’indipendenza del Bangladesh, la vita era scandita dall’alternanza giorno-notte. La vita non era comoda: si dormiva su tavole di legno poiché sui materassi faceva troppo caldo. Il clima era poco ospitale. Svolgevamo le classiche funzioni religiose come la meditazione e la messa a cui partecipavano tutti coloro che potevano. I mussulmani erano molto rispettosi e c’era una buona convivenza. Gli impegni missionari erano la visita alle scuole o la raccolta dei bambini per mandarceli, le visite ai genitori e agli insegnati. Le comunità a me assegnate erano 27 quindi anche le visite erano molto impegnative. Una mia passione che ho coltivato è l’agricoltura e posso dichiararmi orgoglioso di aver insegnato e diffuso alcune tecniche, come al coltivazione del grano e la miglioria nella cultura di alcuni vegetali. Questo a mio parere è perfettamente in linea col messaggio cristiano perché aiuta le persone a migliorare la propria vita. Un grande impegno era dedicato alla catechesi e all’organizzazione delle associazioni benefiche in cui i poveri aiutavano i poveri, massima espressione del messaggio cristiano. La vita cessava con il calar del sole a causa della mancanza di elettricità.”
“ le è mai capitato di sentirsi in pericolo per la sua fede religiosa?”
“Proprio in questa missione rurale c’era un gruppo di maoisti armati che voleva istaurare il marxismo nel bengala su mandato della Cina. Di notte si spostavano terrorizzando la gente che spesso mi raccontava le loro preoccupazioni. Quando vennero da me gli aprii e mi chiesero di parlare ma io rifiutai non volendo parlare loro nel cuore della notte ma proponendogli un colloquio di giorno. Sono stato talmente deciso che li ho convinti ad andarsene però poi dovetti sempre evitarli e stare attento a non trovarmi nel loro stesso paese. L’altro pericolo che ho affrontato è stato quando l’occidente ha attaccato l’islam e la situazione era critica. L’atmosfera era molto tesa e temevo lo scoppio improvviso di episodi violenti, cosa non rara. Però conoscendomi già tutti la situazione si è rinormalizzata abbastanza in fretta….”
“Quale è stata la miglior accoglienza ricevuta?”
“l’accoglienza è quotidiana. I Bengalesi molto ospitali, anche i più poveri, quelli che sai non avere nulla, per offrire qualcosa all’ospite si fanno in quattro. Inoltre, cosa che può sembrarci strana, prima mangia l’ospite, da solo, poi gli uomini e solo in seguito le donne e i bambini. Il pasto non è un rito sociale. Il mio primo pranzo di natale è stato con una famiglia, una delle più ricche del paese. Ero seduto sull’unica seggiola e mi è stato offerto da mangiare del riso con un uovo su un piatto, l’unico piatto di coccio che avevano, precedentemente “lavato” con lo sterco, un rito propiziatorio, e poi poco risciacquato.”
“le è mai capitata una conversione? Sono molte?”
“Vi scoraggio a convertire un mussulmano in un paese islamico. Ci sono molte conversioni interiori attraverso il dialogo ma mai battesimi. Infatti i mussulmani arrivano a capire che il cristianesimo è complementare all’Islam, ma non aderiscono formalmente alla Chiesa, poiché sarebbe un’azione perseguibile e ti renderebbe un vero emarginato. Se si diffondesse l’idea che i missionari battesimano i mussulmani sarebbero subito espulsi e la vita dei cristiani neoconvertiti sarebbe impossibile. I paria e gli indù invece possono convertirsi e farsi anche battezzare. Il fatto che ci siano molti paria convertiti disincentiva le conversioni nelle caste più alte ma la cosa è secondaria perché le conversioni dei paria dal momento che li emancipano librandoli dalla loro segregazione sociale sono delle vere e proprie rivoluzioni cristiane.”
Dopo aver ringraziato padre Marcello Storgato per il tempo concessoci abbiamo scattato delle foto per ricordare e documentare questo momento.
Scambiatici gli ultimi saluti e i contatti abbiamo concluso la nostra intervista soddisfatti anche se il tempo a nostra disposizione ci è sembrato davvero troppo poco per esaurire tutte le nostre domande e per far raccontare a Padre Marcello tutto quello che aveva da dirci.
Elisa Antonioli 1C classico
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