Incontro con Jalila Ben Lechehab

a cura della classe 1C del Liceo Classico MANIN






Jalila si presenta nella nostra classe in un qualunque venerdì di febbraio e, raccontandosi, lo fa diventare speciale, difficile da dimenticare. E per una volta, noi maninensi, attaccati spasmodicamente ai libri, li abbandoniamo per lei, per la sua storia, perché, potendo, è meglio imparare dalle persone che dai fogli di carta.
Chi è Jalila? Jalila prima di tutto è una donna indipendente, ci tiene a dirlo. Da 22 anni in Italia, ha abbandonato il suo paese quando era ad un passo dalla laurea in economia e commercio perché, in Marocco, si sentiva limitata: poche opportunità, poca libertà, ma soprattutto pochi diritti riconosciuti alle donne. Lei, invece, sognava di essere libera, di non avere impedimenti e divieti, di poter esprimere al meglio le sue potenzialità. E, invece, il Marocco, paese amato e odiato allo stesso tempo, negli ultimi tempi si era trasformato per lei in una prigione che si faceva ogni giorno più angusta, che le tappava le ali, completamente.
Così, appena avuta la possibilità, ha librato il volo. Con l’appoggio della mamma, capofamiglia dopo la morte del padre, vestita all’occidentale, con poco bagaglio e poca fede, nessuna idea chiara di dove sarebbe andata a finire; in compenso tanta paura. Appena lasciato il porto, ci racconta, è scoppiata a piangere. Abbandonare il suo paese, anche se non l’ha mai sentito come veramente suo, l’ha scossa: è stato come tagliare un cordone ombelicale sottile, quasi invisibile, ma esistente. Sai cosa lasci, ma non sai cosa trovi.
Jalila ha trovato l’Italia. Arrivata nel periodo pasquale, è stata accolta in un monastero di Reggio Emilia come “dono di Dio”. Qui ha imparato la nostra lingua e, dopo qualche mese, si è fidanzata e poi sposata…con un uomo italiano. Poi sono arrivati quattro figli e lei, giorno dopo giorno, ha visto il suo desiderio di emancipazione farsi sempre più concreto.
Oggi Jalila è una donna serena, oltre che libera, e soprattutto credente. Ha ritrovato la fede qui, in Italia, quando si è resa conto, con l’arrivo dei primi figli, che il vuoto che si sentiva dentro era stato colmato solo a metà dalla libertà conquistata. Così ha fatto dell’Islam un alleato, per essere più forte, ma anche per non perdere il legame con il suo paese d’origine. E ha iniziato a portare il velo per poter esprimere al meglio la fede riscoperta. E’ invece contraria al burka, la velatura totale del viso e del corpo, perché la donna che lo indossa, volontariamente o no, utilizza gli abiti per chiudersi nella sua spiritualità e negarsi ogni contatto con il mondo. Jalila vede invece l’Islam come un aiuto per poter vivere meglio, dentro, la propria interiorità, ma anche fuori, nei rapporti con gli altri.
E’ stata vice presidente del centro islamico, ma ci ha rinunciato a causa delle tensioni nate in seguito alla sua elezione. -Una donna presidente? Ma siamo impazziti?- avranno pensato gli altri contendenti che, alla fine, hanno avuto la meglio. Beh, intanto lei ha dimostrato di che pasta è fatta.
Ha creato e gestisce una associazione, “Alba”, il cui scopo è ricercare convivenza pacifica tra islamici e non, per un futuro migliore, uniti, dato che abbiamo bisogno gli uni degli altri.
Presidente anche dell’Unione Immigrati, afferma che l’Italia attualmente è strumentalizzata. Al suo arrivo, l’atmosfera era diversa: si guardava allo straniero come ad una persona, da accogliere e aiutare con solidarietà, nell’ottica di una possibile opportunità di arricchimento dell’una e dell’altra parte. Oggi chi è l’immigrato? E’ l’ostacolo, la palla al piede, “quello che porta via il lavoro”.
A suo parere i mass-media stanno diventando nemici sempre più acerrimi della cooperazione tra Italia e Islam, dato che “la televisione distrugge la sera ciò che si è costruito il mattino”.
Certo, non si può negare l’esistenza dei terroristi, ma l’islam non è terrorismo. Negli ultimi versetti del Corano, Allah sembra quasi ordinare il rispetto e la fraternità con il prossimo, non incita certo ad uccidere in suo nome! L’Islam non è qualcosa di monolitico, di unico. Ha tante sfumature e, preso alla lettera, può essere facilmente frainteso. Chi porta avanti la Guerra Santa, convinto di poter presto arrivare in Paradiso, chi uccide in nome di Allah, operando il male nel mondo, lo fa singolarmente, è opera sua, non dell’islam. E’ finirà con l’allontanarsi da Dio piuttosto che avvicinarsi a lui.
Jalila sottolinea, in più, che il cristianesimo non è un nemico dell’islam, ma quasi un cugino, dato che entrambe sono religioni rivelate. Cambiano i nomi, ma Dio è lo stesso. Entrambe predicano l’amore, la bontà, la carità verso il prossimo. Esistono, tuttavia, delle differenze: l’Islam, dove è presente, è religione e stato, mentre la Chiesa non si identifica con lo Stato; l’ Islam è rivelazione di Dio nel Corano, il Cattolicesimo è rivelazione nel Verbo incarnato; nell’Islam l'uomo deve mettere in pratica il Corano, nel Cattolicesimo è professata la conoscenza e l’amore di Dio nello Spirito; Islam è affermata l’unità-unicità di Dio, nel Cattolicesimo, invece, unità e trinità di Dio.
Come poter capire i legami esistenti tra le varie religioni, ma anche culture, tradizioni? Esiste il tavolo interreligioso, a cui Jalila partecipa, che serve proprio a non far dimenticare che l’altro c’è, esiste, e che bisogna creare con il prossimo un rapporto di rispetto reciproco.
Questa è Jalila Ben Lechehab. Caparbia, determinata, ferma nelle sue posizioni, con uno sguardo solare un po’ tradito da un leggero velo di malinconia per tutte quelle cose che, ancora oggi, “devono essere raddrizzate”.
Lei, intanto, è pronta a mettersi in discussione, a lottare con le unghie e con i denti, ma non a rinunciare a tutto ciò che si è conquistata in questi ultimi anni. E’ una donna con la “d” maiuscola.
Sa che la strada da fare per arrivare ad una perfetta integrazione è ancora tanta, ma non è spaventata dal futuro: bisogna prendere la vita di petto, soprattutto se si è femmine. L’importante è sperare sempre in un’ Alba migliore.

11 febbraio2011
Bea

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