FARE ESPERIENZA DI DIVERSITA’

 a cura della classe 1C del Liceo Classico MANIN

NASTRO ROSSO - CERCHI NERI


La classe ha scelto di fare l’esperimento del “nastro rosso”, ma concordando una modalità un po’ diversa: al posto del nastro i ragazzi hanno proposto un segno più “visibile” a loro parere, cioè due cerchi neri tracciati con la matita cosmetica sulle guance, da portare continuativamente in casa e fuori (in ogni genere di ambiente) per almeno tre giorni continuativi.
Riportiamo qui di seguito a mo’ di esempio alcuni dei diari tenuti dai ragazzi (in tutto circa 7-8) durante l’esperimento. Solo uno non è riuscito a portare a termine “l’impresa”.
Infine aggiungiamo una sintesi di quello che è uscito in classe dalla discussione che è seguita al resoconto dei ragazzi che si erano prestati a fare da “cavie”.
 SIMONA
Domenica 9 gennaio- PRIMO GIORNO
Mattina, disegno i cerchi sulle guance. Allo specchio tra me e me non penso ci sia poi nulla di tanto strano! Solo mio fratello minore, tra tutti i miei familiari, commenta: “Ma cosa stai facendo? Tu non sei normale.” Ma aspetto di uscire per strada e magari accorgermi di sguardi incuriositi. E così è: nel tragitto casa-supermerato due o tre nonnette che attendevano di ricominciare le solite spese post natalizie, rivolgono l'attenzione ai miei cerchi neri. La prima reazione più istintiva è abbassare lo sguardo e tirare dritto. A sera è tutto pronto per il rientro a scuola, anche la matita nera e la buona volontà di entrare in istituto con i segni ben in evidenza.

Lunedì 10 gennaio- SECONDO GIORNO

Sapendo che a scuola gli sguardi e i commenti sui cerchi saranno parecchi, non calco troppo il tratto nero della matita, e per quanto possibile riduco le dimensioni. E' istintivo tentare di eliminare la differenza, quasi tentendo di ignorare le stesse caratteristiche personali. Mi sento molto più sicura quando mi unisco ai compagni di classe che stanno come me portando avanti l'esperimento. I ragazzi coetanei o comunque gli alunni si interessano molto meno dei cerchi rispetto ai professori: la prof. D. appena entrata in classe esclama: “Ma cosa sono questi segni sulle guance?”. La prof. B. è indispettita e molto incuriosita. Ad allenamento la sera, le amiche più intime non si interessano più di tanto.

Martedì 11 gennaio- TERZO GIORNO

Comincio ad abituarmi all'idea di colorarmi le guance, e dopo l'esperienza del primo giorno di scuola, marco un po' di più il tratto. Parlando con altri ragazzi nell'intervallo non penso più a come potrei apparire loro con i cerchi bene in mostra, ma mi immagino tutti con i cerchi neri come me, e dunque niente più domande riguardo ad essi. Durante le ore di lezione anche il prof. B. chiede riguardo ai segni. E ad un certo punto entra anche il P. che prima ancora di chiedere appare indispettito e afferma di non volerli più vedere il giorno seguente. 
A sera cancello definitivamente i cerchi dalle guance. Un po' è stato come togliersi un peso, una preoccupazione cui il pensiero tornava spesso mentre mi trovavo insieme ad altre persone.

CECILIA
Domenica 9 dicembre
13.46
I primi passi del mio esperimento sono alquanto traumatizzanti. È una tranquilla domenica mattina. Mi disegno i cosiddetti segni particolari prima sulla guancia destra e poi sulla sinistra. Mi guardo allo specchio e forse mi sento un po’ strana, ma sto ridendo. Ritorno in camera cercando di studiare. Nell’arco di 5 minuti mi sono già completamente dimenticata delle guance. Leggiucchio qualcosa e poi vado a tavola. L’ora della verità. I commenti sono fondamentalmente 3: mio padre “ sa ghé fat?”, mia madre “massì, sarà uno dei suoi soliti stupidi esperimenti per il viso”(è? Ma quali SOLITI esperimenti?), mio fratello “dio quanto sei idiota!” (lo sberleffo non manca, io gli restituisco un calcio e la situazione sfocia come al solito in una dimostrazione d’amore fraterna tra un pugno e un insulto). Se si tralasciano i sorriseti di mio fratello, il pranzo si conclude con tranquillità.
17.05
Ho appena finito di litigare con mia madre.
mmmmmm… Cattivo esperimento! Cattivo! Cattivo! Cattivo!
È vero anche che questa domenica mi sono svegliata male, stanotte ho fatto tipo un’indigestione di sogni, tutti diversi ed è finita che mi sono svegliata più confusa di quanto non fossi andata a letto.
Non ho un piumino per l’inverno, ma non ho neanche voglia di comprarne uno, ho sempre preferito fare la povera fiammiferaia con il mio cappotto troppo leggero. Contro voglia, la mia,  stavamo uscendo per andare a comprarne uno. Mentre apro la porta mia madre mi lancia uno sguardo a metà tra la stizza e il fastidio dicendo “Non vorrai mica uscire così vero?” Io “ assolutamente sì” lei: “vai subito a toglierti quell’affare dalla faccia!” il malumore, la nebbia fuori dalla finestra, un brutto collage di sogni e gli occhi di mia madre che sfanalano “altrochè se ci esco CONCIA così! E non perché sono idiota o esibizionista, per il semplice fatto che è un esperimento di educazione civica, Ed civica? Vi dice niente? E se ti dà così fastidio ti dirò pure che CONCIA così devo andarci per altri tre giorni! Ora che lo sapete vi sentite più sollevati? Che culo!” Non ho urlato, ma ho vomitato le parole con tutta l’acidità che mi scorreva nelle vene. Uno scambio di sguardi fra i miei, poi la solita conclusione, anche se questa volta è mio padre: “e tu ci esci pure a comprare un piumino con questa strega?” e lei “infatti, chi me lo fa fare? Risponde male da tutta la vita!” Mentre discutono io me ne sto già andando, e ora sono qua davanti a una tastiera a parlare del mio esperimento.
Il pomeriggio si conclude nel peggiore dei modi.


Lunedì 10 dicembre 

7.30

Il lunedì e il suo drastico ritorno al quotidiano.
Disegno i cerchi, o meglio, un cerchio e una pera, rispettivamente guancia sinistra e destra. Mi assale l’odor di bagnato, ma per la fretta riesco a scordare anche l’ombrello. Sono quasi l’unica col capo scoperto, là fuori sono tutti nascosti sotto ombrelli e doppi cappucci. Forse perché ognuno è concentrato sul suo piccolo e il nuovo inizio, o forse sono solo io che sono concentrata sul mio piccolo mondo; ad ogni modo, per strada gli sguardi che mi sento addosso sono davvero pochi, non mi sento nemmeno soffocare; mi fanno quasi piacere.
A scuola è diverso. Tutti che guardano, “Che brutti jeans che ha quella!” “Quello là è un fighetto” “bleah quei due lì si stanno baciando in mezzo al corridoio, tremendo spettacolo scabroso” “Quello là non sembra gollum del signore degli anelli?”(E se fosse un’affermazione del mio repertorio di cattiverie gratuite?)”
Questo “facciamoci i cavoli altrui” non mi tange particolarmente. Non sento il bisogno di coprirmi la faccia o nascondermi in bagno. Anzi. È come se avessi qualcosa mio e solo mio e gli altri non capissero assolutamente niente. Provo una piacevolezza particolare. Come quando si sta in mezzo a tante persone che parlano e straparlano senza sapere come sono veramente andate le cosa e l’unica persona che ne è seriamente consapevole li guarda sorridendo compiaciuto per la loro profonda inconsapevolezza.
Ecco. Oggi mi sentivo un po’ così. E anzi, se devo essere proprio totalmente sincera, quando incontravo qualcuno che sgranava gli occhi ridendo mi prendeva una grande voglia di fargli “bleaaaaaaaah, siiiiiiiii! vengo dall’altro mondo!!” e spaventarlo, ma mi sono trattenuta anche se anche se…
Nonostante gli sguardi e le parole sottovoce dei ragazzi non ho sentito neanche per un momento le guance pesarmi. Forse che è solo il mio primo giorno di convivenza con la diversità?

Martedì 12 dicembre

7.45
Sveglia e poi tutta una gran corsa contro il tempo.
Nel tragitto casa scuola non sono più consapevole di cosa ho disegnato in viso.
8.00
Sono maledettamente in ritardo e si vede, perché invece che respirare ansimo e corro come una schizzata. E nonostante questo due professoresse trovano il tempo di fermarmi e vomitarmi addosso milioni di domande, commenti, affermazioni più o meno acide. Alla prima rispondo sorridendo serena e paziente, cercando di spiegare nonostante la sua espressione trasudi ottusità e un “non sto capendo un solo periodo di quello che mi stai dicendo, sarai solo un’esibizionista valà”.
Ed ecco che sono ancora più in ritardo, maledizione! Intravedo sulla delle scale l’ennesima professoressa che mi studia. NO! NO! NO! E NO! Questa volta non voglio fermarmi a dare spiegazioni. Ma anche questa prof non si limita ad osservare, domanda, chiede, inizia a parlarmi. Io però purtroppo la pazienza non l’ho quasi più, sono stufa di spiegare a questo e quello, inizio a non poterne più di gente che continua a chiedere, per poi non ascoltare nemmeno ciò che ho da dire e continuare a guardarmi ridendo come idioti. Sono stufa perché mi sembra di aver già dato troppe spiegazioni. È come se la gente chiedesse, per poi restare della loro maledetta idea ottusa. Mi chiedono, io cerco di spiegare, e mentre parlo e parlo e parlo mi rendo conto che non stanno a sentire le  mie parole, ma si limitano a guardare i cerchi sulle mie guance, senza neanche badare a quello che IO ho da dire. I cerchi non parlano maledizione! Invece che guardarli dovrebbero guardare me negli occhi e ascoltare quello che ho da dire. A volte ho l’istinto di coprire le guance con le mani, così per un secondo, solo per un secondo mi guardano negli occhi e danno retta a quello che dico, ma soprattutto la piantano di guardare inebetiti i cerchi neri.
Anche per i corridoi inizio a essere quasi arrabbiata, nel senso che avrei quasi voglia di mordere le persone che stanno a guardarmi per più di un secondo, per non parlare di quelli che ridono; sì, inizio a provare un po’ di rabbia e quasi a essere stufa, non dei mie segni in viso, ma delle persone che mi stanno attorno. 

ALBERTO
27/12/2010
La mattina ho cominciato l’esperimento. Dopo essermi disegnato i cerchi sulle guance, guardandomi allo specchio mi sentivo in effetti diverso e il mio sguardo continuava a cadere su quei segni. Uscito dal bagno sono stato accolto dalle reazioni divertite dei miei famigliari che, sebbene sapessero già dell’esperimento, non sono riusciti a trattenere le risate.
Nel pomeriggio sono uscito con i miei amici, che, vedendomi, prima mi hanno preso in giro, poi, dopo che ho spiegato loro la situazione, hanno capito, pur non essendo molto d’accordo sull’esperimento.
Durante il nostro giro in centro mi sono accorto che i passanti, pur non dicendomi nulla, mi guardavano sorpresi e un po’ infastiditi.

28/12/2010
Il secondo giorno dell’esperimento, anche grazie alle distrazioni dovute alla compagnia degli amici, non ho badato molto al fatto di avere due cerchi disegnati sul viso. Tranne magari quando al pomeriggio sono entrato in un negozio: il resto dei clienti ha avuto al medesima sensazione dei passanti del giorno prima, mentre la cassiera mi ha fatto notare di essere sporco in faccia.
Alla fine del secondo giorno mi è venuto da pensare che forse le reazioni delle persone non sono state particolarmente eccessive perché al giorno d’oggi, in fatto di diversità, penso se ne veda di continuo e quindi si è più abituati ad essa.

29/12/2010
Mi ero ormai abituato ai cerchio, e così la mia famiglia e i miei amici. Durante la giornata è venuto a farci visita un amico di famiglia che, vedendomi, ha subito chiesto la ragione di quei segni. Io gli ho spiegato l’esperimento e, al contrario delle mie aspettative, si è detto assolutamente d’accordo e ha appoggiato questa iniziativa con entusiasmo.
In conclusione posso dire che questi tre giorni sono stati molto utili a capire come ci si sente ad essere diversi dagli altri e come gli altri possono reagire di fronte ad una diversità. E’ stata a mio parere un’esperienza molto costruttiva.

LUCA

Martedì 11 gennaio – 1° giorno

Nessuna reazione da parte dei compagni di classe. Tutti i professori odierni sono rimasti stupiti.
Il preside, entrato all’ultima ora, si è stupito più di tutti ed è rimasto qualche minuto in più in classe per chiedere il motivo dei miei cerchi. Durante il tragitto a casa qualcuno mi ha guardato in modo strano, quattro ragazzi che sembravano di quinta superiore hanno riso quando mi hanno visto.
A casa mi è stato intimato da mia nonna di lavarmi la faccia. Mia madre ha giudicato questo esperimento una stronzata! Mio padre afferma che è tutta una cagata e che la mia diversità sarebbe nel non fare il pagliaccio.

Mercoledì 12 gennaio – 2° giorno

Nessuna reazione da parte del prof. L.
La prof. B. Ha detto che sembravo un cretinetti. La prof. B2 ha affermato che cambia l’anno ma i pirla rimangono sempre gli stessi, riferendosi ovviamente ai miei cerchi e a me (Ndr: il ragazzo non è lò’unico della classe a svolgere in quei giorni l’esperimento…)
Durante l’intervallo sentivo la gente che rideva alle mie spalle e dando qualche sbirciatina vedevo che la gente continuava a guardarmi dopo che ero passato loro oltre.
L’attenzione dei miei amici è stata fortemente attirata: alcuni hanno semplicemente domandato cosa avessi in faccia, altri hanno detto che ho dei problemi.
Il preside, divertito, ha detto che si potrebbe pensare che io sia un esibizionista.
A cena era ospite un amico, un prete: ha visto ciò che avevo in faccia, gliene ho spiegato il senso, gli ho spiegato l’esperimento, e lui non ha assolutamente approvato.
Durante la discussione ha detto che prima di conoscere il diverso è necessario conoscere se stessi, la nostra religione; anche i non credenti devono farlo, perché è il loro contesto culturale e perché è necessario conoscere per farsi un’idea vera di ciò verso cui si è a favore. Mio nonno quando mi vede dice che sono un pagliaccio pronto per carnevale, e la nonna dice di andare a scuola a chiedere di insegnarmi qualcosa di più interessante.

Giovedì 17 gennaio – 3° giorno

Fino alle 18 di stasera non è successo niente di molto diverso dagli altri giorno, ma quando sono andato all’allenamento , alle 18 appunto, ho avuto troppa vergogna di presentarmi in quello stato ai miei compagni di squadra e li ho cancellati.

LUISA
sabato 25 Dicembre
Dopo essermi dipinta due cerchi neri sulle guance, esco di casa per andare a mangiare dai miei nonni.
Durante il tragitto incontro una signora che non mi nota neanche. Un altro gruppetto di ragazzi mi guarda di sfuggita ma non sembra particolarmente interessato. Dai nonni tutti mi chiedono cosa sono i
cerchi, io racconto del progetto allora capiscono e tranquillamente mi guardano. La mia prozia di 98 anni appena mi vede dice che devo lavarmi la faccia io le dico che non posso e lei allora constata che ai suoi tempi queste mode non c'erano. Per il resto del giorno non faccio particolari incontri.

domenica 26 Dicembre
Sono arrivata in montagna e devo uscire per comprare le attrezzature da sci.
In realtà anche qui nessuno sembra particolarmente interessato. Alcuni guardano con curiosità ma senza ostentarla troppo. Mi stupisce il comportamento di una signora che vedendomi abbassa lo sguardo come se avesse un poco paura. Entro per fare il tesserino per gli impianti di risalita e lì la
signora mi dice divertita che sarebbe meglio mi togliessi i cerchi, ma io rispondo che non posso e lei tranquilla comunque mi fa far la foto.
Nessun altra particolare reazione.

lunedì 27 Dicembre
Sulle piste da sci nessuno mi guarda: sono completamente coperta da sciarpa, occhiali e casco. Poi vado sull'ovetto scordandomi completamente dei cerchi. Inizio a parlare con il tipo che ho di fronte (uno snowboarder alquanto stravagante e loquace) e dopo ben dieci minuti di viaggio mi chiede che sono i cerchi, allora racconto. Alla sera mi tolgo definitivamente i cerchi: credo che non sia particolarmente riuscito perché ormai la stranezza non è qualcosa di così straordinario e se anche
capita si cerca di evitarla.
Inoltre all'inizio devo dire di aver trovato un po' di opposizione da parte dei miei genitori, non tanto perchè non volevano andassi in giro con dei segni in faccia o per paura che attirassi l'attenzione, ma
piuttosto perché vedendolo come esperimento pensavano non fosse davvero il mio modo d'essere.


Diverso. Ma diverso da chi?
Discussione in classe sull’esperimento del nastro rosso

"La diversità culturale è necessaria all'umanità quanto la biodiversità lo è per la natura" (Art. 1)

“La diversità culturale non si decreta: si osserva e si pratica”
Koichiro Matsuura, direttore generale dell’Unesco



In questo nostro viaggio alla scoperta di un mondo sempre più variegato per le forme di espressione culturale e religiosa in cui ci si può imbattere, come non affrontare il tema della diversità? Nella nostra società questo è un problema: la diversità appare come un pericolo, una minaccia, una barriera che si oppone tra i simili e “gli altri”.
Già mi chi sono “gli altri”, i diversi, gli alieni? Il “diverso” per noi è l’extracomunitario, il malato, l’handicappato, l’alcolista, il povero, il drogato…la pecora nera. Tuttavia, al giorno d’oggi i diversi sono anche altri: chi non entra in una taglia quaranta, chi non veste alla moda, chi è credente (ma per davvero!), chi non ama la discoteca, chi non si omologa ai modelli che i media e la nostra società ci impongono. Ma non seguire il gregge che cosa provoca davvero? Quali reazioni, quali stati d’animo in noi e in chi ci sta intorno? Cosa si prova ad essere DIVERSI?
Per capirlo, l’abbiamo sperimentato. Inizialmente, in classe, abbiamo fissato i termini della prova: un piccolo segno (due cerchi neri sulle guance al posto del nastro rosso) da portare, tutto il giorno, per almeno tre giorni, tenendo anche una diario per registrare gli esiti di questa “prova di diversità”.
Alcuni, poi, si sono offerti volontari per l’esperimento, che si è svolto nel mese di gennaio.
Ci siamo accorti di come anche solo un piccolo segno possa essere la causa di sguardi curiosi, di disappunto, incredulità, interesse, indifferenza. Tante sono state le reazioni, anche in famiglia. Alcuni genitori si sono dimostrati favorevoli all’esperimento, altri hanno considerato i cerchi come la rappresentazione di un senso di esibizionismo o l’ennesima prova della nostra stupidità adolescenziale; altri ancora, contrari e indispettiti, non se la sono proprio sentita di andare in giro con un “mezzo matto con due cerchi sulla faccia”. Vergogna, imbarazzo.
Tante le domande, a volte puramente di circostanza, che hanno finito per infastidire il diverso che, nonostante i tentativi di spiegare il senso dei segni, non si è mai sentito, però, veramente ascoltato: i cerchi hanno fatto colpo, hanno ipnotizzato, ma non in tutti i casi, perché c’è anche chi, al contrario, non ha suscitato l’interesse che si aspettava. Il nostro obiettivo, infatti, era anche un po’ quello di provocare, suscitare reazioni.
Sentirsi al centro dell’attenzione, origine di risate e commenti negativi, fonte di imbarazzo, quasi fenomeno da baraccone, ha spesso indotto a considerare come unica soluzione l’eliminazione del segno di diversità. Era molto forte, infatti, la necessità di cancellare l’elemento distintivo per poter uscire dalla situazione di disagio e poter tornare ad essere uno dei tanti, non il diverso.
Questo è capitato soprattutto quando ad essere diversi si era da soli, perché quando per il nostro liceo si aggirava un discreto numero di “mezzi matti con due cerchi sulla faccia”, le cose sono cambiate: l’unione fa la forza, d’altronde. Nonostante la tendenza molto forte a banalizzare questo esperimento anche da parte di alcuni nostri insegnanti, Preside compreso, essere disuguali è diventato allora motivo d’orgoglio, di superiorità, non più di disagio. E più ci si dimenticava di essere diversi, più ci si poteva avvicinare alla dimensione naturale dell’esperimento, capire cosa vuol dire davvero ESSERE DIVERSI.
L’esperimento ci ha proposto il problema che già la storia ha molto spesso incontrato e che oggi molte persone sono costrette ad affrontare. Gestire la diversità richiede impegno, coraggio, pazienza, ma regala anche la gioia della scoperta, l’avventura del viaggio, il rischio del confronto e l’audacia del mettersi in discussione. Il primo passo da fare è forse quello di cominciare a considerare la diversità non come un elemento da tollerare, ma come un bene da tutelare.
Già, perché è il diverso che ci rafforza, il medesimo ci può solo rilassare, appiattire.

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